la nostra terra

lunedì 29 dicembre 2008

E' Giovanni Casaletto il nuovo Segretario dei Giovani Democratici

28 Dicembre 2008 E' Giovanni Casaletto il 1° segretario regionale dei Giovani Democratici di Basilicata. E' stato eletto all'unanimità oggi a Potenza a margine dell'assemblea regionale che ha visto la partecipazione dei 120 delegati eletti il 21 novembre scorso da oltre 10.000 ragazzi che hanno scelto di partecipare alle primarie dei Giovani Democratici. Giovanni Casaletto, laureando in Scienze Politiche a Salerno con una tesi su Storia del Mezzogiorno, già segretario regionale della Sinistra Giovanile, alla presenza del segretario nazionale dei Giovani Democratici Fausto Raciti e del segretario regionale del Pd di Basilicata Piero Lacorazza, assume la guida dei giovani del Partito Democratico lucano. La relazione introduttiva Care democratiche e cari democratici, dopo una lunga attesa giungiamo finalmente alla prima assemblea regionale dei Giovani Democratici di Basilicata. Sono particolarmente felice, giunti a questo punto, di candidarmi a guidare il nascente movimento politico giovanile. Non vi nascondo un pizzico di scetticismo che ho provato nelle battute iniziali, quando vedevo poche certezze intorno a noi e molta poca considerazione da chi dirige ai massimi livelli nazionali il PD. Diciamocela tutta: non era né facile né ineluttabile che questa organizzazione nascesse. Ma la tenacia con la quale un gruppo di giovani motivati l’ha voluta e conquistata non è solo voglia di protagonismo: è la consapevolezza di aver svolto e di poter svolgere un ruolo di rappresentanza e di proiezione politica di una generazione. È la voglia di non disperdere il patrimonio di volontà, passione civile, partecipazione e contenuto con il quale si è provato a dare risposte alle tante domande di senso che dai giovani ci sono pervenute. Ognuno dai propri luoghi e sotto le proprie bandiere. Adesso ci siamo ed io ho sentito crescere l’entusiasmo col passare delle ore ed attraverso l’incontro di quasi ognuno di voi nei vostri paesi, tra i vostri amici. Ho fatto il segretario regionale della più bella organizzazione politica e sono abituato a girare e tirare tardi a parlare e discutere delle questioni più disparate, quelle importanti e quelle inutili. Questa volta, credo, devo ringraziare le ragazze ed i ragazzi di Brienza che per primi mi hanno coinvolto e chiesto di incontrarli, davanti alla solita birra, certo, ma con insolita e sorprendente voglia di sapere e di conoscere. Ho rivisto ragazzi con i quali ho condiviso gli anni del liceo ed altri che non conoscevo. È lì che abbiamo cominciato ad avere l’esatta percezione, mettendo a rete le esperienze e la comunicazione, di quanto in gamba, preparata, consapevole e incazzata sia una fetta consistente della gioventù lucana. Sono tornato lì più volte ed abbiamo ritrovato il gusto di fare politica (poiché credo che molti di noi, me compreso, abbiano completamente smesso di farla nel corso degli ultimi mesi). Ho incontrato poi tante persone, tornando di nuovo a respirare l’ansia di una generazione che vuole riappropriarsi di sé stessa e del proprio futuro attraverso la politica, non vuole rassegnarsi ad essere un numero senza una storia, ad essere succube invece che libera. Ad essere precaria, incerta e rassegnata. In questi anni abbiamo noi per primi detto che bisognava non aver paura della globalizzazione perché in essa, nei potenti mezzi della tecnologia e delle nuove forme di comunicazione si celano grandi opportunità di successo e di riscatto. Continuiamo a crederlo ed a comunicarlo. I nostri valori e capisaldi restano intatti. Non cediamo alle strumentali affermazioni di Giulio Tremonti sul saggio “La paura e la speranza”. Ben sapendo, però, che non esiste in realtà una forma univoca ed inevitabile di globalizzazione. Si può fare meglio e fare di più. C’è una bella espressione di Giorgio Ruffolo che, affrontando il percorso dell’economia attraverso millenni di storia, parla di un “capitalismo senza le mura” (quello attuale) contrapposto ad un capitalismo dentro le mura (prima) e fuori le mura (dopo). Oggi siamo senza le mura. Senza limiti. Ma con mille contraddizioni. E portando a superamento una logora categoria marxista rende evidente, con una appassionante spiegazione (che consiglio di conoscere) come i limiti dell’attuale capitalismo siano esterni, sono contraddizioni esterne: di una insostenibilità ambientale ed ecologica ed una insostenibilità insita nella società stessa. Ed in effetti questa società, dove si scontrano giovani ed adulti, protetti e disperati, precari qualificati e stabili inefficienti, QUESTA società è investita da processi di disgregazione generati dalla immane crescita economica di questi anni. C’è una crescente ingovernabilità che cresce al crescere dell’interdipendenza, si acuisce il vuoto tra la potenza dell’economia ed il potere dei governi nazionali. C’è un progressivo allontanamento tra le fasce più ricche e le fasce più povere della popolazione mondiale, in cui in pochi hanno sempre di più ed in troppi sempre meno. In questo clima di accumulazione continua si registra un profondo squilibrio tra beni privati e beni collettivi. In cui i primi (oggetto di desiderio ed accumulazione) sovrastano i secondi (bisogni sociali e partecipativi) per importanza e per valore. I primi promossi dalla televisione ed i secondi visti come un inutile spreco o, addirittura come avviene nell’Italia governata da Berlusconi, come un furto al quale i cittadini devono ribellarsi, perché costano e si devono pagare le tasse. Ciò porta ad una privatizzazione della società, al valore solo per i propri desideri ed istinti. Non esiste più la comunità (la società avrebbe detto la Tatcher). Arriviamo così ad una costante spoliticizzazione, alla fine della politica, al discredito della democrazia. In un mondo siffatto la politica e la gente non contano, conta l’economia, ma non quella reale e della produzione, ma la finanza, quella che assomiglia ad una gigantesca casa da gioco in cui si muovono ricchezze e destini collettivi così come si fa con le fiches sul rosso e sul nero di una roulette. Non credo che per un movimento come il nostro non ci siano gli spazi per grandi battaglie di rappresentanza e di civiltà, per grandi lotte ideali. Ma credo che dobbiamo attrezzarci a rappresentare una voglia di libertà e di autonomia dei movimenti e delle scelte. Dobbiamo rivedere le categorie e le coordinate culturali dentro la dimensione dell’individuo e di una maggiore autonomia personale. La Destra è più attrezzata di noi a farlo, ma in un’ottica antistato ed in cui l’individuo è lasciato solo al suo destino ed è libero nelle sue scelte solo in apparenza. Perché poi “non bisogna disturbare il manovratore”, e bisogna consumare e consumare tanto, magari alimentando bolle come quelle recenti in cui pagano miliardi di cittadini. Ma è così che deve andare. Noi dobbiamo lottare per uno Stato ed un pubblico che ci consegni ampie opportunità di movimento e mobilità sociale, in cui il merito venga premiato e l’iniziativa privata venga agevolata, promossa. In cui lo Stato non sia visto come un nemico e quello delle tasse ma il garante democratico delle mie aspirazioni. Credo che lo stesso movimento studentesco di queste ultime settimane ci abbia insegnato tanto. Esso è stato impropriamente accostato al ’68. Ma credo che qui abbia prevalso una voglia di libertà e di autonomismo e non mi pare si sia aperta una nuova corrente di pensiero. Una generazione si è resa protagonista di una battaglia giusta, di una protesta non strumentale. Il decreto Gelmini in realtà è stato uno specchietto per le allodole. La sostanza erano solo ingenti tagli senza un progetto, senza un’idea di scuola e sociale. Ma una consistente fetta generazionale non guidata dai partiti ha forse avvertito l’occasione per sovvertire un racconto pressante. Quello dei nostri tempi. In cui se hai un’idea e la vuoi attuare chi se ne frega: è la finanza che conta e non il merito, il capitale non la tua idea. Da un po’ si sente che per migliaia di giovani quel racconto per fortuna non è più valido. E credo che a ciò contribuisca il messaggio nuovo che viene dall’America di Barack Obama. Ma con altrettanta chiarezza tocca a noi dire che non è più confacente alle proprie idee e voglia di riscatto una scuola ed una università in cui le leggi e le procedure che le regolano sono centralizzate e rigide (da casta!), in cui le retribuzioni dei professori non sono differenziate e non si bada alla qualità dell’insegnamento e dove il fine della politica universitaria è l’equiparazione della formazione e della ricerca tra i diversi atenei, senza competizione, al ribasso e con progressi di stipendio sulla base dell’anzianità. Andrea Ichino ha dimostrato come il reddito della famiglia di provenienza sia più importante nel determinare il successo di uno studente nella egualitaria e sessantottina Italia che in America e che forse sarebbe meglio far pagare agli studenti direttamente le tasse universitarie e con una cospicua parte delle stesse finanziare borse di studio per i meno abbienti, che non gravare su tutti i contribuenti, dove quelli che ne approfittano di più e meglio sono i figli dei più ricchi, perché frequentano meglio e di più. È dentro queste coordinate che noi possiamo parlare di merito e di talento. Chiedere una revisione degli ordini ed una maggiore libertà del mercato del lavoro dentro una rete di garanzie avanzate e non assistenziali. È dentro questa cornice, nella dimensione multipolare e democratica, nella dimensione multiculturale ed europea che dobbiamo leggere lo sviluppo dei giovani lucani e tornare a fargli amare la propria terra, la Basilicata. Le vicende giudiziarie delle ultime settimane e quel che si ripete da qualche anno non aiutano a recuperare uno spirito corale di autodeterminazione, creano un clima molto negativo. Voglio subito dire che non sono un giustizialista e che chi si aspetta da me oggi un atto d’accusa nei confronti della classe politica lucana resterà deluso. Ma resterei io altrettanto deluso se questa platea si soffermasse soltanto sugli aspetti più tossici ed inquinanti (che pure vanno focalizzati) e non invece cogliere questa occasione per una riflessione più profonda ed articolata. Cito soltanto il servizio del Tg1 del 24 dicembre delle 13.30, che mostrava centinaia di cittadini di Pescara sotto la Procura e sotto la casa del Sindaco D’Alfonso a manifestare solidarietà allo stesso. Con dei cartelli che dicevano ridateci il nostro sindaco. Qualche giorno prima avevo avuto modo di commentare col mio amico Marco Rapino di Pescara, che quando la politica è buona ed autorevole, non ci sono grosse difficoltà nel recuperare un rapporto di favore con la gente. Questo per dire che noi tutti dobbiamo rifuggire dall’atteggiamento del tutti uguali e tutti mafiosi, ma dobbiamo altresì chiedere autorevolezza e credibilità alla politica. Ho avuto l’occasione di leggere alcuni punti delle ordinanze e intercettazioni riferite alle vicende ultime. Da esse, prima ancora che illeciti presunti o consumati è la QUALITÀ del sistema delle relazioni e dei rapporti quotidiani che lascia molto a desiderare. Ed il nostro compito, se vogliamo svolgere una funzione politica con maturità e intelligenza, deve essere quello di denunciare lo squallore e la meschinità di comportamenti familistici e amorali (di nuovo fortemente presenti in questa regione) e contrapporre una trama di relazioni sociali fatta di tensione etica, di responsabilità, spirito pubblico, APERTURA MENTALE ed un approccio culturale MENO MEDITERRANEO E PIÙ EUROPEO! Dobbiamo farci interpreti di una nuova etica dei comportamenti, stili e linguaggio e sapere che per noi giovani incazzati la vera questione morale è la questione dei tempi, in una Regione in cui si programma ieri (perché oggi non si programma neanche più) e si realizza tra 20 anni!!! Non si possono perdere treni in una regione che già ne ha pochi. Non possiamo permetterci di restituire all’Unione Europei milioni e milioni di fondi per la coesione. Non è accettabile che ancora non vi sia traccia della programmazione 2007-2013. Bisogna rilanciare investimenti e infrastrutture materiali e immateriali. Bisogna ritrovare una ragione di esistenza e di contatto con le aree limitrofe. Immaginare i grandi collegamenti stradali e ferroviari. Le Fs continuano a togliere treni salvo poi commettere l’errore di annunciare su uno spot nazionale che si va dallo zio Peppe a Matera in treno, spot ripreso su un bell’articolo di qualche giorno fa dal Riformista. Le imprese non verranno ad investire qui se non c’è la banda larga, il gas e l’elettricità a prezzi competitivi. Su ciò riserviamo molta attenzione al modello di sfruttamento delle risorse energetiche (acqua e petrolio) ed all’avvio della Sel, capitolo questo che ha decretato in anni passati un certo grado di autonomia e qualità della programmazione della Basilicata. Bisogna puntare su una qualità dell’ambiente e del turismo, chiedendo alle comunità ed alle amministrazioni multilivello di cominciare a ragionare in ottica integrata e non più campanilistica. Per vincere l’asfissia di relazioni sociali stanche ed assistenziali e rivedere i termini di scambio tra politica e società lucana, una parte sta alla politica ed una parte alla legge elettorale regionale che auspichiamo vada verso un superamento della preferenza unica e possa mitigare una frammentazione elevata che ha il solo risultato di snaturare la logica di alleanze e di progetti politici. La Basilicata cambia. Inesorabilmente e lentamente si spopola, perde energie, le sue forze vitali. Nel I° semestre 2008 aumentano sia l’occupazione che la disoccupazione. I dati ci dicono che si passa da 187.000 occupati nel 2007 a 189.000 nel 2008 con un tasso che passa al 47,8% rispetto al 47,5%; fanno pensare ad un miglioramento della situazione. Certo ci sono 2000 occupati in più. Ma basta leggere i dati della disoccupazione che parlano di più di 5000 persone in cerca di occupazione, per rendersi conto della gravità dei fatti. A fronte di uno 0,3% di occupati abbiamo nello stesso periodo un 2,1% in più di disoccupati (quindi molti si sono iscritti alla ricerca di un lavoro), in definitiva il tasso di disoccupazione lucano è appena (ormai) inferiore (12,3%) a quello meridionale (13%). Sconfortante il dato della popolazione. Dal 2003 al 2005 perde circa 3000 abitanti e dal 2005 al 2007 altri 4000 in termini di residenti. Aumentano solo i comuni del potentino, Pignola, Tito, Avigliano e Satriano (che ha attuato una politica per l’abitabilità), ed aumentano prevedibilmente per l’influenza del capoluogo. Aumentano Melfi, Venosa e Lavello, neanche Rionero. In provincia di Matera solo Bernalda e Policoro, oltre al capoluogo. Il resto è ciò che vedete per le strade vuote e delle attività che chiudono. Istat calcola che nel 2050 saremo meno di 400.000. Interessante il dato riguardante l’immigrazione: cresce anche qui il numero di cittadini extracomunitari. E cresce nei comuni dell’interland potentino, del melfese, più qualche altro caso per ragioni, sempre e comunque, di impieghi stagionali nel comparto agricolo e per lavori domestici e non qualificati. I piani sociali di zona che dovrebbero servire, a nostro avviso, anche ad implementare politiche di integrazione e promozione culturale attraverso il coinvolgimento di forme di associazionismo e del terzo settore, si concentrano sempre sulle stesse tipologie di intervento, offrono poco o nulla ed anche qui ciò che conta è solo la scelta su chi sarà il comune capofila. Ben vengano proposte di coordinamento istituzionale e programmatiche, il riordino delle ASL e la riforma delle Comunità Montane, ma dentro un quadro chiaro di poteri e di suddivisione delle sfere di competenza. Mi chiedo a cosa serva ottimizzare gli ambiti di gestione territoriale se poi perdiamo fondi e non coordiniamo la programmazione a livello regionale. Non si attuano, vieppiù come ho già avuto occasione di dire in un recente intervento sulla stampa, i poteri di controllo e di indirizzo su tutti gli enti strumentali. E spesso a capo degli stessi ci sono figure fortemente inadeguate a qualsiasi ruolo di responsabilità pubblica. E non credo, come ho detto inizialmente da solo poi via via qualcuno si è convinto, che le misure del “Patto con i giovani” siano servite a dare una sterzata a questo stato di cose. Non voglio riprendere una questione che ho avuto più volte modo di rappresentare, ma non vi è stato il giusto investimento sulla scuola e sulla formazione, avremmo sperato nell’avvio di qualche progetto pilota in rete tra scuole lucane e straniere, avremmo sperato in un maggiore ascolto e coinvolgimento. La sintesi è: qualcosa di buono e qualcosa di nuovo. Ma ciò che è buono non è nuovo e ciò che è nuovo non è buono! E allora tocca a noi riprendere l’agenda da dove l’avevamo interrotta. Chiedere più Europa nella nostra regione, nelle scuole, una maggiore internazionalizzazione di imprese e pubblica amministrazione attraverso progetti Erasmus anche per giovani imprenditori ed amministratori. Chiedere alla pubblica amministrazione trasparenza ed efficienza. Meno convenzioni e mantenuti negli enti strumentali e nei comparti strategici quali l’agricoltura e più autonomia. La nostra è la generazione che gira l’Europa, che vive esperienze culturali importanti, che svolge periodi di stage economico-aziendali all’estero e nelle amministrazioni pubbliche di mezzo mondo, nel settore della cooperazione allo sviluppo, nelle organizzazioni non governative. Il tema è come si modernizza ed europeizza il segmento amministrativo e tecnico-gestionale. Bisognerebbe amplificare, senza falsi concorsi, la proposta dei 100 talenti. Bisogna aggiornare la cittadinanza solidale e possibilmente toglierla alla discrezionalità degli operatori e, attraverso meccanismi automatici e oggettivi, trasformarla in un reddito minimo di inserimento regionale. E questa può diventare da subito una proposta operativa e su cui costruire una campagna politica di lotta all’esclusione. Dobbiamo fare di nuovo nostra una battaglia sulla libertà di movimento ed opportunità della cultura in Basilicata attraverso una modifica sostanziale della legge istitutiva. Dobbiamo fare tante cose. Certo non possiamo guardare la Basilicata e compatirla. Sarebbe una operazione ingiusta non cogliere quanto essa sia cambiata in meglio e scongiurato con forti idee guida e una buona classe dirigente i disegni che la volevano divisa in due. Ma non possiamo non interrogarci e non interrogare l’intero arco di forze che compone il centrosinistra lucano sulla qualità del suo governo e della sua attuale azione riformatrice. Se non saremo noi a compiere questa operazione, tra non molto qualcuno tornerà alla carica con facile qualunquismo e potrà dire: “si stava meglio quando si stava peggio”. La Basilicata deve riconquistare uno spazio ed una proiezione nazionale. In fasi diverse e con logiche diverse, con un disegno più o meno progressivo a seconda del periodo, la Basilicata aveva assunto un ruolo nazionale. Adesso bisogna riprenderselo per restituire ai giovani la fiducia in sé stessi e la consapevolezza di poter rappresentare un’isola di buone pratiche nel Mezzogiorno. Comunicare loro la possibilità di realizzare il proprio progetto a partire da qui, da un luogo che sappia essere lo snodo di relazioni Euromediterranee e che faccia dell’apertura, della libertà e dell’indipendenza delle persone un caposaldo della sua idea di coesione sociale. Io credo che sia sotto gli occhi di tutti una certa corpulenza dei blocchi eterogenei che compongono il centrosinistra e che governano. E credo che continuino a coesistere nel centrosinistra e nello stesso PD una idea classica di “partito-Stato” che riproduce un rapporto logoro tra politica e società, tra ceto e cittadini, e dall’altro lato una forte esigenza di rinnovamento che punta a superare questo stato di cose. Ma penso che mentre questa coesistenza e convivenza erano una lungimirante scelta politica allorquando il centrosinistra lucano muoveva i suoi primi passi, oggi sarebbe inutile e dannoso attardarsi in una terra di nessuno che sta tra l’innovazione ed il consenso. Noi scegliamo l’innovazione dentro una società mobile e dinamica. E chiediamo al partito di sceglierla insieme a noi! Noi siamo una gioventù incazzata e se De Filippo e chi governa questa regione non si incazza con noi allora è evidente che non siamo in sintonia. Vogliamo essere la punta avanzata del PD. Non saremo i giovani di nessuno, gli inutili idioti di qualche capetto mascherato dietro ad identità calpestate e non comprese. Noi non utilizzeremo mai mezzi sleali e sciocchi per falsificare le dichiarazioni pubbliche di qualcuno e screditare gli altri nel modo più meschino e fastidioso, salvo poi dichiararsi cattolici e tutti figli di Maria! Noi siamo i giovani democratici. Punto. E vogliamo essere l’ariete che sfonda insieme al partito le porte del cambiamento della Basilicata. E vorrei dire basta anche con questa ansia del nuovismo, con questa retorica del ricambio che ha prodotto solo cooptazione per qualche artista in Parlamento. Sabato scorso sono stato a Roma alla prima assemblea nazionale dei giovani democratici. Ce n’erano tanti, di luoghi diversi. E questo è di sicuro un valore. Ma ad una brillante relazione di Fausto Raciti ha corrisposto un dibattito disarticolato, impolitico ed antipolitico, se non fosse stato per l’intervento di Parisi dalla Puglia e per le belle considerazioni di Roberto Speranza e di qualcuno qua e là. Siamo stati anche attaccati stupidamente da Salvatore Bruno, uno dei candidati alla segreteria nazionale. Ma per fortuna la ragione prevale sempre. Chi voleva un’ulteriore riprova che la politica non si improvvisa l’ha avuta. Voi che siete qui ragazzi, dovete sapere che la politica è un’esperienza straordinaria di altruismo e passione civile. Ci vuole pazienza, tempo, confronto e partecipazione attiva, meditata ed informata. Al momento non vedo altri modelli. E reputo indispensabili momenti di formazione ed approfondimento. Ripercorro con particolare emozione i momenti vissuti con la Sinistra Giovanile ad Eurogeneration, straordinaria occasione di socializzazione, di crescita e di altro... Mi avvio a concludere. Sapendo che davanti abbiamo molta strada. Bisogna dare uno scheletro all’organizzazione. Avviare a costituzione i circoli locali. Lavorare in forme strette di collaborazione area per area. Comporre quanto prima una segreteria regionale per aree tematiche. Giungere entro il 28 febbraio alla elezione dei segretari provinciali come da dispositivo approvato sabato a Roma. E creare spazi nuovi e costanti di iniziativa politica in tutti i Comuni. Porre così le basi per una generazione che si affaccia e che va responsabilizzata, perché il tempo, per tutti, porta ad esaurimento le fasi di ognuno e ne prepara di nuove. Vorrei vedere una generazione combattiva e dinamica, caparbia ma matura, in grado di svolgere una funzione pedagogica nei confronti di tanti miei e vostri coetanei. Vorrei vederla autonoma e indipendente, in grado di pensare con la propria testa e camminare con le proprie gambe. Vorrei! Ma so che spesso non è così. Fuori da questo teatro spesso appare una gioventù distratta, oppure meschinamente interessata. Vorrei non vedere 18enni al citofono di casa che si rivolgono ad un umile consigliere comunale già privi di energia e di speranza. Vorrei non vedere 15enni già rassegnati all’idea di fuggire dopo le scuole od anche durante. Vorrei! Ma tocca proprio a me dire (con fare aristocratico) che forse, in questo momento, molte energie stanno fuori regione, per scelta o necessità. Ma sanno farsi un’idea libera e disinteressata di questa terra. Lo so che è dura ma è così. Dobbiamo essere capaci di interagire e di mettere a sistema le energie che stanno fuori e quelle che stanno dentro i confini regionali. Ma il lavoro è tanto, e ci dobbiamo credere. Voi vi dovete appassionare, ce la dovete mettere tutta. Perché questa platea è pronta e saprà venire dopo di noi e di me stesso. Ma voglio sentirvi gridare, parafrasando Francesco Guccini, “HO ANCORA LA FORZA CHE SERVE A CAMMINARE, PICCHIARE ANCORA CONTRO PER NON LASCIARMI STARE. HO ANCORA QUELLA FORZA CHE TI SERVE QUANDO DI NUOVO SI COMINCIA. Voglio sentirvelo gridare forte ed io, in maniera convinta, potrò dirvi CHE LA MIA PARTE, ANCORA UNA VOLTA, VE LA POSSO GARANTIRE. GRAZIE E BUONE FESTE

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